La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36894, depositata il 9 settembre 2013, ha ribadito che, la violazione di una norma antielusiva puo' costituire reato tributario.
Sentenza Cassazione penale 09/09/2013, n. 36894
IL CASO
Il tribunale del riesame confermava un provvedimento di sequestro preventivo emesso a carico di vari indagati, accusati di diversi reati, tra i quali la dichiarazione infedele, ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. n. 74/00.
La violazione emergeva a conclusione di una verifica fiscale nei confronti di una società nei confronti della quale era contestata l’esecuzione di un’operazione elusiva, consistita, in buona sostanza, nell’aver ceduto le partecipazioni in una società mediante compravendita anziché mediante conferimento di beni in natura, al fine di ottenere un indebito vantaggio fiscale.
Veniva così contestato il delitto di dichiarazione infedele, in base al quale è punito con la reclusione da uno a tre anni, chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, elementi attivi inferiori a quelli effettivi, ovvero elementi passivi fittizi.
LA NORMATIVA
Si ricorda che gli artt. 37, co. 3 e 37-bis del DPR n. 600/73 prevedono delle specifiche disposizioni anti-elusive, secondo le quali sono inopponibili all'Amministrazione finanziaria gli atti, fatti e negozi, anche collegati tra di loro, che siano contemporaneamente privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare norme tributarie e volti ad ottenere una riduzione del carico fiscale altrimenti indebita.
L’elusione fiscale scatta, pertanto, solo in presenza di determinati negozi giuridici previsti dalle norme predette, tra cui rientrano anche le cessioni ed i conferimenti.
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Avverso la decisione del tribunale del riesame proponeva ricorso in Cassazione l’indagato il quale eccepiva, in estrema sintesi, che doveva escludersi la rilevanza penale della elusione fiscale: la prova della responsabilità in campo penale si forma in maniera del tutto diversa rispetto alla formazione della prova dell’evasione tributaria.
Infatti, mentre il fisco può ricorrere a presunzioni, il giudice penale deve effettivamente motivare un’eventuale condanna sulla base di dati attendibili. Inoltre, i delitti tributari sono punibili solo a titolo di dolo, incompatibile con la “strutturazione psicologica” dell’elusione.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36894, depositata il 9 settembre 2013, ha respinto il ricorso dell’indagato, confermando il provvedimento di sequestro e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
I giudici di legittimità premettono che il tema della rilevanza penale dell’elusione fiscale è oggetto di contrasto in seno alla Suprema Corte.
Ed infatti, alcune decisioni (Sez. V, sent. n. 23730 del 2006; Sez. III, sent. n. 14486 del 2008) non hanno ritenuto sussistente, in queste ipotesi, alcuna violazione penale Tuttavia, nella pronuncia in commento, i Supremi giudici ritengono che siano più convincenti le decisioni favorevoli alla rilevanza penale della condotta elusiva (tra le altre n. 26723/2011, n. 29724/2010): è quindi configurabile il delitto di dichiarazione infedele in presenza di una condotta elusiva rientrante in quelle previste dall’art. 37-bis, al superamento evidentemente della soglia di punibilità Inoltre, con riferimento al caso di specie, i giudici richiamano una pronuncia della Seconda sezione (n. 7739/2011) in cui si afferma che i reati tributari di dichiarazione infedele o di omessa dichiarazione possono essere integrati anche da condotte elusive, strettamente riconducibili alle ipotesi previste dall’art. 37, comma 3, e 37-bis del D.P.R. n. 600/73.
L’ART. 16 DEL D.LGS. 74/00
I giudici di legittimità motivano la loro decisione anche sulla base dell’art. 16 del D.Lgs. n. 74/00 il quale prescrive che “Non da luogo a fatto punibile a norma del presente decreto la condotta di chi, avvalendosi della procedura stabilita dall'articolo 21, commi 9 e 10, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (procedimento di interpello), si è uniformato ai pareri del Ministero delle finanze o del Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive previsti dalle medesime disposizioni, ovvero ha compiuto le operazioni esposte nell'istanza sulla quale si è formato il silenzio-assenso”.
I giudici ritengono, pertanto, che detta disposizione induce proprio a ritenere che l’elusione, fuori dal procedimento di interpello, possa avere rilevanza penale. Da qui la conferma del provvedimento di sequestro a carico dell’indagato.
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Con la presente sentenza la Corte ribadisce l’orientamento, di recente anche espresso nella sentenza n. 33187/2013, per cui mentre l’abuso di diritto non può costituire reato, al contrario può affermarsi la rilevanza penale di condotte che rientrano in una specifica disposizione fiscale antielusiva.
Tale rigorosa interpretazione è sicuramente discutibile: si ricorda, infatti, che l’elusione fiscale comporta un risparmio d’imposta ma non un’evasione, tanto che in passato si riteneva addirittura che, in presenza di comportamenti elusivi, il fisco potesse recuperare l’imposta indebitamente risparmiata ma non irrogare le sanzioni fiscali.
Ora la Cassazione arriva ad affermare che l’elusione può far discendere la responsabilità penale del contribuente.
Si sottolinea, altresì, con riferimento all’art. 16 del D.Lgs. n. 74/00, che la relazione al decreto legislativo afferma testualmente che tale disposizione non può essere letta come “diretta a sancire la rilevanza penalistica delle fattispecie lato sensu elusive non rimesse alla preventiva valutazione dell’organo consultivo”.
Ciò nonostante appare singolare che i giudici l’abbiano interpretata in senso contrario deducendo la rilevanza penale proprio da tale norma
Sentenza Cassazione penale 09/09/2013, n. 36894
IL CASO
Il tribunale del riesame confermava un provvedimento di sequestro preventivo emesso a carico di vari indagati, accusati di diversi reati, tra i quali la dichiarazione infedele, ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. n. 74/00.
La violazione emergeva a conclusione di una verifica fiscale nei confronti di una società nei confronti della quale era contestata l’esecuzione di un’operazione elusiva, consistita, in buona sostanza, nell’aver ceduto le partecipazioni in una società mediante compravendita anziché mediante conferimento di beni in natura, al fine di ottenere un indebito vantaggio fiscale.
Veniva così contestato il delitto di dichiarazione infedele, in base al quale è punito con la reclusione da uno a tre anni, chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, elementi attivi inferiori a quelli effettivi, ovvero elementi passivi fittizi.
LA NORMATIVA
Si ricorda che gli artt. 37, co. 3 e 37-bis del DPR n. 600/73 prevedono delle specifiche disposizioni anti-elusive, secondo le quali sono inopponibili all'Amministrazione finanziaria gli atti, fatti e negozi, anche collegati tra di loro, che siano contemporaneamente privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare norme tributarie e volti ad ottenere una riduzione del carico fiscale altrimenti indebita.
L’elusione fiscale scatta, pertanto, solo in presenza di determinati negozi giuridici previsti dalle norme predette, tra cui rientrano anche le cessioni ed i conferimenti.
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Avverso la decisione del tribunale del riesame proponeva ricorso in Cassazione l’indagato il quale eccepiva, in estrema sintesi, che doveva escludersi la rilevanza penale della elusione fiscale: la prova della responsabilità in campo penale si forma in maniera del tutto diversa rispetto alla formazione della prova dell’evasione tributaria.
Infatti, mentre il fisco può ricorrere a presunzioni, il giudice penale deve effettivamente motivare un’eventuale condanna sulla base di dati attendibili. Inoltre, i delitti tributari sono punibili solo a titolo di dolo, incompatibile con la “strutturazione psicologica” dell’elusione.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36894, depositata il 9 settembre 2013, ha respinto il ricorso dell’indagato, confermando il provvedimento di sequestro e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
I giudici di legittimità premettono che il tema della rilevanza penale dell’elusione fiscale è oggetto di contrasto in seno alla Suprema Corte.
Ed infatti, alcune decisioni (Sez. V, sent. n. 23730 del 2006; Sez. III, sent. n. 14486 del 2008) non hanno ritenuto sussistente, in queste ipotesi, alcuna violazione penale Tuttavia, nella pronuncia in commento, i Supremi giudici ritengono che siano più convincenti le decisioni favorevoli alla rilevanza penale della condotta elusiva (tra le altre n. 26723/2011, n. 29724/2010): è quindi configurabile il delitto di dichiarazione infedele in presenza di una condotta elusiva rientrante in quelle previste dall’art. 37-bis, al superamento evidentemente della soglia di punibilità Inoltre, con riferimento al caso di specie, i giudici richiamano una pronuncia della Seconda sezione (n. 7739/2011) in cui si afferma che i reati tributari di dichiarazione infedele o di omessa dichiarazione possono essere integrati anche da condotte elusive, strettamente riconducibili alle ipotesi previste dall’art. 37, comma 3, e 37-bis del D.P.R. n. 600/73.
L’ART. 16 DEL D.LGS. 74/00
I giudici di legittimità motivano la loro decisione anche sulla base dell’art. 16 del D.Lgs. n. 74/00 il quale prescrive che “Non da luogo a fatto punibile a norma del presente decreto la condotta di chi, avvalendosi della procedura stabilita dall'articolo 21, commi 9 e 10, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (procedimento di interpello), si è uniformato ai pareri del Ministero delle finanze o del Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive previsti dalle medesime disposizioni, ovvero ha compiuto le operazioni esposte nell'istanza sulla quale si è formato il silenzio-assenso”.
I giudici ritengono, pertanto, che detta disposizione induce proprio a ritenere che l’elusione, fuori dal procedimento di interpello, possa avere rilevanza penale. Da qui la conferma del provvedimento di sequestro a carico dell’indagato.
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Con la presente sentenza la Corte ribadisce l’orientamento, di recente anche espresso nella sentenza n. 33187/2013, per cui mentre l’abuso di diritto non può costituire reato, al contrario può affermarsi la rilevanza penale di condotte che rientrano in una specifica disposizione fiscale antielusiva.
Tale rigorosa interpretazione è sicuramente discutibile: si ricorda, infatti, che l’elusione fiscale comporta un risparmio d’imposta ma non un’evasione, tanto che in passato si riteneva addirittura che, in presenza di comportamenti elusivi, il fisco potesse recuperare l’imposta indebitamente risparmiata ma non irrogare le sanzioni fiscali.
Ora la Cassazione arriva ad affermare che l’elusione può far discendere la responsabilità penale del contribuente.
Si sottolinea, altresì, con riferimento all’art. 16 del D.Lgs. n. 74/00, che la relazione al decreto legislativo afferma testualmente che tale disposizione non può essere letta come “diretta a sancire la rilevanza penalistica delle fattispecie lato sensu elusive non rimesse alla preventiva valutazione dell’organo consultivo”.
Ciò nonostante appare singolare che i giudici l’abbiano interpretata in senso contrario deducendo la rilevanza penale proprio da tale norma
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