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Autoriciclaggio: incertezze applicative

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  • Autoriciclaggio: incertezze applicative

    Con legge n. 186 del 15 dicembre 2014 il legislatore introduce, contestualmente, voluntary disclosure per la definizione agevolata delle violazioni tributarie, e il reato di autoriciclaggio, in studio da tempo, tentando di incentivare l'una con il timore dell'altro, e lasciando oltretutto presagire che reati fiscali e autoriciclaggio faranno coppia fissa. Ma tra i due vi sarà...feeling? Già nel 1943 Winston Churchill aveva suggerito che per ottenere un qualche risultato col popolo italiano si dovesse usare il doppio metodo del bastone e della carota. E così, mémore di questo insegnamento, di solito il legislatore fiscale, quando “concede” condoni o istituti per la definizione agevolata delle violazioni fiscali, li accompagna con un inasprimento della disciplina o un aumento della sanzioni. Questo per far presagire al contribuente che quella sia, davvero, l’ultima interessante opportunità per mettersi a posto, dopodiché le punizioni saranno pesanti. In occasione dei precedenti scudi fiscali, ad esempio, il legislatore aveva aumentato significativamente le sanzioni per le violazioni degli obblighi del monitoraggio, tanto che poi è stato censurato a livello comunitario e ha dovuto, recentemente, fare marcia indietro e ridurle nuovamente. Così, per la nuova versione dello scudo, che più elegantemente si chiama voluntary disclosure, il legislatore non ha più potuto utilizzare il metus di un aumento delle sanzioni; e, non volendo evidentemente rinunciare ad un poco di deterrenza, ha aggiunto, contestualmente (con la legge 186/2014), il reato dell’autoriciclaggio nel codice penale. Da tempo se ne discuteva, in dottrina, nell’opinione pubblica e a seguito delle raccomandazioni delle istituzioni internazionali, e quindi i tempi per la sua introduzione erano maturi. Ma ciò non esclude che tale importante riforma del codice penale avrebbe dovuto essere effettuata in maniera autonoma e ben ponderata, e non invece inserita, a mo’ di “spauracchio”, in un testo legislativo con altre finalità e diverso contesto, approvato di corsa per l’urgenza delle misure di voluntary disclosure (con la scusa dell’urgenza, infatti, sono stati rifiutati tutti gli emendamenti presentati in Senato rispetto al testo approvato dalla Camera). Sennonché l’inserimento - estemporaeo - nello stesso testo legislativo della voluntary disclosure, offre comunque l’occasione per una breve riflessione sul delicato rapporto tra il nuovo reato dell’autoriciclaggio e i reati penali tributari. Ma procediamo con ordine e vediamo, prima e brevemente, in cosa consiste l’autoriciclaggio e come è disciplinato dal neo introdotto art. 648 ter 1 c.p. Come è noto, nel nostro ordinamento vigeva il c.d. privilegio di immunità per l’autoriciclaggio, nel senso che i reati di cui agli artt. 648 bis (riciclaggio) e 648 ter (impiego di denaro beni o utilità di provenienza illecita) non potevano essere contestati agli autori o concorrenti del reato presupposto. Questo perché si obiettava che il comportamento di celare il provento del reato fosse un post factum non punibile o comunque un tutt’uno, imprescindibile e necessario, rispetto alla condotta del reato - fonte e quindi la sua autonoma punizione avrebbe comportato una violazione del ne bis in idem sostanziale o ancora si invocava, a sostenere la immunità per l’autoriciclaggio, il principio secondo cui nemo tenetur se detegere, dal momento che la condotta appariva necessaria per non autodenunciarsi del reato presupposto (es. il ladro che nasconde la refurtiva). Sennonché, più recentemente, la dottrina ha iniziato a riconsiderare tali obiezioni. Invero, il reato del riciclaggio si è evoluto rispetto alla sua originaria formulazione, riconnessa a determinati odiosi reati presupposto (sequestri di persona, etc.) dei quali costituiva una sorta di aumentata sanzione, e si è ampliato potendosi riconnettere ad ogni sorta di delitto e soprattutto venendo a proteggere un autonomo bene della vita quale l’ordine economico e l’amministrazione della giustizia. Tale conquistata autonomia rispetto al reato presupposto, ovviamente, toglie sostanza alle principali obiezioni contro l’autoriciclaggio. Anche l’opinione pubblica ha poi iniziato a propugnare l’introduzione dell’autoriciclaggio, in relazione alle istanze comunitarie e internazionali per la lotta alla criminalità organizzata che fiorisce grazie al riciclaggio. Nonostante gli accurati studi sul reato in oggetto e sulla formulazione normativa operati dalla Commissione Greco, il testo normativo viene tuttavia introdotto, in fretta e furia, nella legge appena approvata concernente la voluntary disclosure, e introduce nel codice penale un autonomo reato di autoriciclaggio (anziché eliminare la clausola di salvaguardia dal testo che punisce il reato di riciclaggio). Il nuovo reato sanziona “chi avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.Il testo normativo, anche per la fretta della sua redazione, lascia gravi incertezze che, se gravi e ahimè abituali in materia fiscale, non sono tollerabili in materia penale, dove il principio di legalità, con il corollario della determinatezza della fattispecie punitiva, assurge a cardine fondamentale del sistema. Si veda, ad esempio, il requisito normativo dell’aver ostacolato concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa. Ebbene quando l’ostacolo deve ritenersi “concreto”? Molte arringhe, nei processi penali sull’autoriciclaggio, si animeranno certamente su questo. E ancora non è comprensibile il fatto che per l’omologo reato di riciclaggio tale requisito della concretezza non sia previsto. Altro punto dalla interpretazione controversa sarà quello dell’“utilizzo personale”, che non è punibile, e della sua individuazione. Ma veniamo infine ai rapporti di tale reato con i reati tributari. Tutti i commentatori della recente riforma hanno sottolineato la stretta correlazione tra l’autoriciclaggio e i reati fiscali, quasi che vi sia una corrispondenza biunivoca e necessitata. I primi commenti, infatti, danno per scontato che il reato di autoriciclaggio possa avere per reato presupposto un reato fiscale. Ora, se effettivamente è probabile che i futuri processi penali tributari si accompagneranno spesso alla contestazione dell’autoriciclaggio, tuttavia la considerazione del reato fiscale come reato presupposto dell’autoriciclaggio merita una più attenta ponderazione.L’autoriciclaggio, così come l’omologa figura del riciclaggio, impone che vi sia una somma di denaro o altra utilità economica proveniente dal (moto da luogo) reato e poi riciclata; dunque tale somma, tale entità economicamente misurabile, deve essere autonomamente individuabile e deve provenire dal reato. Orbene, nella maggior parte dei reati fiscali (dichiarazione infelede, omessa dichiarazione, omesso versamento), il reo non ha una somma di denaro come provento del reato (quale può essere ad esempio il compenso ricevuto per una attività illecita) dato che egli al più ha risparmiato una parte del proprio patrimonio perché non ha versato l’imposta dovuta; ma si tratta del suo patrimonio, e non di un provento da reato, ed inoltre è un risparmio, non una maggior somma ricavata e “riciclabile”. Per come è formulata normativamente la fattispecie di reato, del riciclaggio come dell’autoriciclaggio, non pare dunque che reati fiscali possano neppure dar luogo a quei proventi che siano suscettibili di esser riciclati. Senza contare che, comunque, non è possibile verificare quale parte del risparmio di imposta sia effettivamente reinvestita ovvero se l’utilizzo riguardi altra parte, lecitamente costituita, del patrimonio del contribuente. Non si ignora che la Cassazione penale (da ultimo, Cass., 15 febbraio 2012, n. 6061) ha precisato che il riciclaggio, e quindi anche l’autoriciclaggio, può applicarsi anche per reati - fonte di natura fiscale dato che la formulazione normativa parla anche genericamente di ogni “altra utilità” e quindi anche un risparmio. Ma le obiezioni sopra poste non paiono comunque superate. Se il testo legislativo già non è dei migliori, la giurisprudenza, che si autodefinisce “diritto vivente”, dovrebbe aver cura di fissare parametri più rigorosi, specie nella interpretazione delle fattispecie penalmente rilevanti. In particolare, in tema di autoriciclaggio, ci si augura che vi sia maggior rigore di quello dimostrato sul tema del riciclaggio, ove la giurisprudenza ha sempre adottato interpretazioni amplissime, specie con riguardo a situazioni border line come il consumo personale o il rapporto con il reato- fonte di natura tributaria che, in quanto reato di natura economica, altrimenti s’accompagnerebbe immancabilmente con una automatica contestazione di riciclaggio.Autoriciclaggio e reati fiscali, invero, andranno sempre “a braccetto” negli anni a venire ma questo non avverrà non per logico e armonioso coordinamento tra le due ipotesi delittuose ché anzi vi sono, nel rapporto tra esse, diverse incertezze e stridenti stonature, che solo la giurisprudenza, a questo punto, potrebbe, con saggezza, mitigare.

  • #2
    brancolano nel buio!! non sanno neanche loro che cosa scrivono e cosa fanno??
    ma vi rendete conto di chi guida l'Italia nel 2015 ?? ma roba da matti !!!

    I problemi non possono essere risolti allo stesso livello di conoscenza che li ha creati. Albert Einstein.

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    • #3
      Avvocato, lettura impegnativa, ma grazie mille per la preziosa condivisione.

      Al limite del ridicolo il come sono posti i concetti, ma meglio (molto meglio) così. Se l'Italia avesse leggi chiare e definite sarebbe un problema aggirarle
      www.best-privacy.com

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